lunedì 2 novembre 2009

02 - BEATO GIOVANNI PIAMARTA

Giovanni Battista Piamarta,
presbitero, fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth.


La vita e le opere
Giovanni Battista Piamarta nasce a Brescia nel 1841. Rimasto presto orfano di mamma, viene educato cristianamente nell’oratorio S. Tommaso: sono i tempi arroventati delle «dieci giornate di Brescia» e delle sanguinose battaglie di San Martino e Solferino. Sono anche i tempi di grande povertà del popolo, di epidemie, di grandi passioni patriottiche e di forti contrapposizioni politiche, dei primi tentativi di industrializzazione. Sono anche i tempi di vivace carità cristiana, frutto della radicata religiosità della gente bresciana. Il giovane Piamarta entra in seminario a diciannove anni e, una volta ordinato presbitero a ventiquattro anni, viene inviato nelle parrocchie rurali di Carzago Riviera e di Bedizzole, dove si distingue subito per la convinta dedizione alla catechesi e alla causa dei giovani. Trasferito nella parrocchia cittadina di S. Alessandro, si dedica anima e corpo alla crescita di un fiorentissimo oratorio. Ed è qui che, colpito dalle condizioni della gioventù più povera, matura un ardito progetto per preparare i suoi ragazzi a diventare i costruttori del proprio futuro, grazie alla competenza nel lavoro e grazie al senso di responsabilità verso la propria famiglia e verso la società. Con il consiglio determinante di Monsignor Pietro Capretti, uno degli uomini più illuminati della Chiesa bresciana e dopo una breve parentesi come parroco a Pavone Mella, nel 1886 dà inizio all'Istituto Artigianelli.

Attraversando difficoltà di ogni tipo, egli impianta laboratori ed officine per le diverse specializzazioni, prepara ambienti per ospitare centinaia di giovani, raduna collaboratori laici, condivide la vita dei suoi ragazzi come un padre, insegna loro a diventare uomini attraverso il duro tirocinio del lavoro e l’acquisizione di un carattere forte, motivato e sostenuto da una solida formazione religiosa, ispirata alla visione serena e gioiosa di S. Filippo Neri. La città resta sorpresa dei risultati. I giornali scrivono che non soltanto i migliori artigiani, ma anche la maggioranza dei dirigenti industriali «sono usciti dall’Istituto Artigianelli». Eppure, nonostante il molto lavoro, l’umile prete bresciano sente che dovrebbe interessarsi anche dei giovani che stanno abbandonando le campagne, emigrando in cerca di fortuna nelle città e, persino, nelle lontane Americhe. Assieme ad un valente agronomo, il sacerdote Giovanni Bonsignori, dà origine alla Colonia Agricola di Remedello, dove vengono insegnati metodi innovativi che aumentano considerevolmente la produttività del terreno. La nuova scuola diventa un punto di riferimento per un numero crescente di agricoltori di tutta Italia, grazie anche agli scritti diffusissimi di Padre Bonsignori.

Per rafforzare la sua opera educativa dà inizio all'Editrice Queriniana, assai attiva sul piano della catechesi e della letteratura religiosa e teologica. Nel 1902 il vescovo di Brescia riconosce la Congregazione Sacra Famiglia di Nazareth da lui fondata. Il titolo dice la devozione di Padre Piamarta alla Sacra Famiglia, ma soprattutto manifesta il suo programma di dare inizio e di formare un gruppo di persone che lo coltivino spirito di famiglia, che sappiano educare alla famiglia, attraverso un clima di accoglienza e di fiducia, che propongano a tutti il modello della Famiglia di Nazareth. Qualche anno dopo, sarà approvata anche la Congregazione femminile delle Umili Serve del Signore, fondata assieme alla madre Elisa Baldo.

Muore santamente il 25 aprile 1913, nella Colonia Agricola di Remedello, pianto come un padre, come un benefattore, come un santo.

Fin dai primi anni del suo ministero sacerdotale Padre Piamarta ha attirato l'attenzione per la sua vita di preghiera, per il suo amore ai poveri e ai sofferenti, per la dedizione incondizionata al suo ministero sacerdotale. Quando il suo lavoro si fece intensissimo, a causa delle sue fondazioni, a chi gli domandava come potesse resistere a tanta fatica e a tante preoccupazioni, rispondeva candidamente: «Se io non facessi due tre ore di orazione ogni mattina, non potrei portare il peso che il buon Dio mi ha imposto». La sua è stata chiamata una «santità sociale», per l’attenzione intelligente e creativa ai bisogni della gioventù posta di fronte alle sfide della nuova società, una santità permeata da una «mistica del servizio», da una incondizionata dedizione ad una attività logorante, che gli procurava «triboli e spine» di ogni genere. La sua tenacia, unita alla profonda spiritualità, ha mostrato come l'amore di Dio possa alimentare un serio e costante amore per l’uomo, come il «divinum» sostenga e alimenti anche l’«humanum», come la «Pietas» sia il fondamento del «Labor». I suoi giovani non avevano dubbio che il loro «Padre» fosse un santo: lo sentivano vicino a loro anche quando esigeva l'adempimento dei loro doveri. Lo sentivano un padre, anche perché stava il più possibile con loro. Nella celebrazione della Santa Messa «si trasfigurava»: è una testimonianza frequentissima. La sua predicazione era semplice, diretta, convincente, capace di toccare il cuore, frutto di intensa e orante meditazione.

A chi gli faceva notare i grandi risultati della sua opera, rispondeva d'essere solo di ostacolo all’azione della Provvidenza. E alla Provvidenza si è sempre affidato con incrollabile fiducia: lui povero e senza appoggi ha potuto realizzare grandi opere, grazie all'abbandono alla Provvidenza.

Alla quale ha sempre chiesto molto e dalla quale ha ricevuto tutto. Tutto per i suoi giovani. Per questo ha lasciato in eredità ai suoi continuatori la raccomandazione vivissima di coltivare al massimo grado la virtù della gratitudine verso la Provvidenza e verso i benefattori, che ne sono gli strumenti. Si sentiva molto vicino allo spirito di S. Paolo, ch’egli citava continuamente e del quale voleva riprodurre l'amore per Cristo e lo zelo apostolico.

È stato un ardente sostenitore della devozione al Sacro Cuore e un «innamorato della Vergine Maria», specie della Immacolata Concezione. Padre Piamarta fu sempre considerato un grande e illuminato apostolo della gioventù.

Sia agli «Artigianelli» che alla « Colonia Agricola», egli manifesta d'aver compreso la direzione della storia, vale a dire la direzione verso la quale stava incamminandosi la nuova società e, di conseguenza, quali fossero le nuove esigenze della presenza cristiana. Egli comprende che la sua missione consisteva nel prendersi cura dei giovani, del mondo del lavoro e della famiglia: sono i tre pilastri della sua prodigiosa attività.

Per i giovani egli ha sempre lavorato con tutte le sue energie, prima negli oratori, poi nei suoi istituti, dove ha portato avanti il suo stile educativo, teso a farne dei «bravi artisti, dei buoni cittadini, degli ottimi cristiani».

Per il mondo del lavoro egli si adopera non solo per fare del lavoro non uno strumento di autopromozione, ma soprattutto per farlo diventare un mezzo educativo, per sviluppare le potenzialità del giovane e per dargli il senso della sua dignità, grazie alle possibilità di partecipare allo sviluppo della società.

Per la famiglia Padre Piamarta manifesta più volte la convinzione della sua centralità per la vita del singolo e per la società: «Quando la vita del povero — scrive — sarà riformata per mezzo della educazione cristiana dell’artigiano e dell'agricoltore, allora la società sarà ricostruita e risanata in massima parte». L'educazione alla famiglia ha un posto di rilievo nella sua attività.

Insistente è il suo richiamo al modello della Santa Famiglia di Nazareth: la quale è una famiglia dove si lavora, dove il Figlio di Dio è cresciuto lavorando manualmente, dove il lavoro ha assunto la massima dignità. Così la Santa Famiglia è diventata il nucleo centrale del suo cuore di apostolo. Di lui il Vescovo di Cremona Monsignor Bonomelli, che era stato suo professore, ebbe a dire: «quanti prodigi di carità, di prudenza, di destrezza, di zelo, veramente cristiano, ci ha mostrato nel corso di mezzo secolo di vita generosissima. Egli è il sacerdote che richiedono i tempi nuovi: non curante di sé, solo attento al bene altrui senza distinzione».